Daniele Rugani, ora a Cagliari, è stato per anni una sorta di “musica leggerissima” nel calcio italiano. Tornato in Serie A ora deve compiere il salto di qualità
Quando si parlava di Daniele Rugani, si ascoltava sempre una specie di ritornello, anzi la musica leggerissima che stanno cantando a Sanremo la coppia formata da Colapesce e DiMartino. A un certo punto non si diceva che sapeva marcare, bensì che «sapeva ascoltare». Come se fosse stato in campo per fare un perenne tirocinio, senza poi maturare definitivamente. E in effetti, forse, è stata la costante della sua carriera.
L’esordio in Serie A nel 2014-15 lo aveva consacrato già come difensore fatto e finito, e tutto fu così sbagliato semplicemente. Con Maurizio Sarri aveva difeso senza mai prendere un giallo, giocando tutti i minuti di quel campionato positivissimo, difendendo altissimo e attaccando il giusto, insieme a Tonelli. Ma era quell’Empoli, in generale, ad avere una luna buona, basti vedere anche il salto di carriera fatto da quella rosa, a volte è bastato un fuoco di paglia.
Così Rugani è tornato alla Juventus, dove aveva davanti quelli della BBC, Barzagli, Bonucci e Chiellini.
Lì doveva ascoltare, seguire passo dopo passo, capire perché quei tre avevano una mentalità così forte in Serie A da prendere un gol ogni due partite.
Un ragazzo smarrito o solo confuso
Soprattutto nelle prime due stagioni bianconere, Rugani ha saputo trovare i suoi spazi. Allegri al primo giorno lo catechizzò, bisognava dare le legnate da sentirle pure in tribuna. Essere più cattivo, oltre che ascoltare. Qualche gol lo fece anche, qualcuno anche in Champions, segnò in una freddissima (ma inutile) partita contro la Dinamo Zagabria, alzandosi in cielo quasi come un pivot. Saltò e colpì di testa come una torre.
L’addio di Bonucci sembrava aprirgli le porte, 26 gare le mise anche insieme ma era più affidabile Benatia in mezzo al campo, più cattivo o comunque molto più smaliziato nel conquistare la posizione.
L’arrivo del mentore Sarri, poi, ha contribuito solo ad ammosciarlo, con minutaggio ridotto e quella sensazione di confusione mista allo smarrimento, tipica di chi si sente deluso da chi considerava un padre calcistico.
Così il prestito al Rennes, un posto da titolare era l’obiettivo. Ma la Francia non era l’Italia e se si colleziona una gara in Ligue 1 e una in Champions in quattro mesi allora… è meglio far bagagli e tornare in patria. Il Cagliari ha insistito, ottenendo il prestito per collocarlo al centro nella difesa a tre, prima con Di Francesco e poi con Semplici.
Il gol contro il Bologna è il ritorno della torre, il volo in area è tipico di chi andava leggiadro alla scoperta del suo futuro. Che ancora è tutto dalla sua parte, è un classe 1994 nel ruolo può decollare.