Il compleanno di Carlo Mazzone, il papà del calcio umano.
Carlo Mazzone rimarrà sempre giovane, nonostante tutto. E la carta di identità che prosegue il suo cammino, con le 84 candeline del 19 marzo, è solo un dettaglio. È il maestro, il “sor magara”, chi ha reso leggerissimo un calcio sempre troppo pesante. Un calcio troppo umano, possiamo dire, nel mondo che pian piano ha preso il sopravvento.
Perché di Carlo Mazzone, più delle imprese sportive, molti ricordano gli aneddoti e l’umanità profusa. Anche le urla, i momenti comici e spesso insoliti da vedere in un campo di calcio, le dichiarazioni in romano, la voglia di vivere più di tutti gli undici messi in campo.
Carlo Mazzone è così, un uomo spontaneo. Che alternava il fratello buono e il “gemello cattivo”, che fece cinquanta metri di campo per rispondere alla curva dell’Atalanta. Ma anche il tecnico dal cuore d’oro, che prendeva i suoi giocatori in disparte per spiegargli l’esclusione dall’undici titolare, o li mandava a casa se sapeva di un familiare in difficoltà.
Non a caso, è raro se non impossibile sentir parlare male di Mazzone. 797 panchine in Serie A non si fanno lì per caso, la prima nella sua Ascoli, l’ultima in un Livorno che lo portò quasi a una chiusura malinconica. Epilogo di un ritiro praticamente forzato, forse immeritato.
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Dopo la vittoria dei Mondiali, l’addio di Marcello Lippi lasciò per un po’ di tempo la federazione spiazzata, nonostante l’anticipo di quella rottura. E, come affermato molto tempo dopo, dai vari protagonisti, sarebbe stato proprio Mazzone a prenderne il posto. Il divieto fu però proprio quella famosa corsa in Brescia-Atalanta, giudicata troppo spregiudicata per un tecnico della Nazionale. Ragionamento che molto tempo dopo fu dimenticato per Gianpiero Ventura, con annessi e connessi che conosciamo.
Un peccato, un vero peccato. Perché nessuno come Mazzone ha saputo far parlare i campioni in campo. Se la Roma deve tutto a Francesco Totti, è per merito di Mazzone. Che lo scoprì da giovane, lo incoraggiò e lo fece trattenere a un Franco Sensi che, per via di Carlos Bianchi, era pronto a cederlo alla Sampdoria. E fu vitale anche l’incontro con Roberto Baggio, tre anni meravigliosi insieme, un amore tra padre e figlio, mai uno screzio, mai un’incomprensione. Così come con Josep Guardiola, che forse ha giocato troppo poco con Mazzone, ma a lui deve tutto come tecnico, prova ne è l’affetto provato dallo spagnolo.
Andrea Pirlo, in dulcis, deve ancora a lui il cambio di passo nella sua carriera. Non più un trequartista a corrente alternata, ma il grande campione poi maturato in mezzo al campo. Avendo Baggio, Pirlo dovette indietreggiare e mai scelta fu così opportuna. Perché Mazzone, in fondo, è sempre stato un grande intenditore di calcio a 360 gradi.