Il calcio, la Roma, i sogni, Agostino Di Bartolomei se ne andò all’improvviso, senza che nessuno sapesse, immaginasse.
Calciatore schivo, e sensibile, uomo dai tratti d’altri tempi, mischiati al genio calcistico, al senso della posizione, al principio tattico di chi sa di essere il migliore. Agostino Di Bartolomei, nasce a Roma l’8 aprile del 1955. Il calcio è la sua passione, il suo pane quotidiano, forse la sua valvola di sfogo. Arriva presto alla Roma, dopo la classica gavetta, e all’inizio degli anni ottanta è già capitano della formazione giallorossa.
Sulla panchina di quella Roma, siede Nils Liedholm, sua l’intuizione di arretrare Di Bartolomei a libero, davanti alla difesa. Quella Roma, stupirà l’Italia. Un campionato vinto, una finale di Coppa dei Campioni persa ai rigori contro il Liverpool, in una notte che nessun romanista mai più dimenticherà. Sulla panchina della Roma arriverà Eriksson e quel suo calcio veloce poco coinvolge un calciatore come Di Bartolomei, da li, il suo passaggio al Milan, ancora con Liedholm.
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Al Milan buone stagioni, il suo carisma, il suo saper essere leader, la consapevolezza, forse, di non essere come gli altri. In rossonero arriva Arrigo Sacchi e cosi Di Bartolomei, passa al Cesena ed infine alla Salernitana dove chiude la sua carriera con una storica promozione in B. Roma e lontana, gli anni dei trionfi del gioco meraviglioso e dei sorrisi per tutti. Dopo il ritiro il suo non voler far parte, a tutti i costi di un sistema che non ama, lo porta a prendere decisioni avventate, spesso sbagliate.
Investimenti finiti male, quel mondo del calcio lontano anni luce, e quella fragilità che man mano tornava a tormentarlo, come cantava, di lui Francesco De Gregori. Un giorno di maggio, del 1994, Agostino Di Bartolomei, capitano coraggioso della Roma di Liedholm e Falcao, si spara un colpo al cuore. Nelle poche righe lasciate alla cara moglie Marisa, la disperazione di chi non riesce ad emergere da una situazione diventata troppo complessa. Gianni Mura, in suo ricordo scriverà: “I veri capitani possono morire o anche scegliere di morire, ma dimenticarli è impossibile”