Il pallone è stato la salvezza di molti calciatori con passato difficile. Le storie di questi atleti raccontano di guerra, delinquenza e povertà.
Lo sport è una medicina, a volte una droga; non è utile solo al fisico, ma anche alla mente. Per i calciatori che hanno vissuto situazioni di conflitto famigliare o sociale, il calcio è stata l’unica via d’uscita.
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Il caso di Cristiano Ronaldo è tra i più eclatanti: padre alcolizzato e morto prematuro, fratello delinquente e famiglia povera. Per quanto triste, CR7 non è l’unico calciatore con un passato difficile.
Nella sua biografia Zlatan Ibrahimović racconta di essere cresciuto in un ghetto svedese, e con la madre violenta. Da ragazzino rubava le biciclette ai ricchi e le rivendeva per pochi spiccioli perché a casa non avevano niente da mangiare.
Ma la povertà è un fattore comune a molti calciatori. Carlos Tévez ad esempio, sfigurato da bambino con dell’acqua calda, grazie allo sport è scampato dalla delinquenza di Fuerte Apache, un quartiere trasandato dove la delinquenza è all’ordine del giorno.
Per arrivare a vincere il Pallone d’Oro, Luka Modrić è dovuto fuggire dal conflitto dei Balcani in cui è morto suo nonno. Simile l’esperienza vissuta da Siniša Mihajlović, cresciuto nella Jugoslavia in piena guerra civile, con i parenti croati e serbi che si odiavano tra loro.
Ma le storie più traumatiche arrivano dall’Africa: Sadio Mané, senegalese del Liverpool, viveva in casa con nove persone che non volevano lui giocasse a calcio; Victor Moses, centrocampista ex Chelsea, perse i genitori ad 11 anni e arrivò in Inghilterra già orfano.
Poi c’è il trio di africani del Bologna: Amadou Diawara, Ibrahima M’Baye e Godfred Donsah. Diawara è emigrato dalla nuova Guinea giovanissimo, salvato dallo scout Robert Visan; M’Baye, classe 1994 del Senegal, agli inizi della sua carriera andò a vivere con il suo agente Giuseppe Accardi perché il padre lavorava lontano; Donsah del Ghana, classe 1996, nei primi anni in Italia risultava come immigrato clandestino, così a 15 anni fu rispedito in Africa, e solo nel 2013 l’Hellas Verona riuscì a riportarlo in Europa.