Colpi di Pistola, accoltellate, pescicani. Questi i metodi usati per gli omicidi nel calcio, che hanno coinvolto giocatori colpevoli solo di essere uomini.
In Sud America il calcio è vissuto con un’altra enfasi, più aggressiva, a volte mortale. In Africa le guerre portano via atleti con la sola colpa di amare il loro paese. Uno studio del CIES Football Observatory, ha evidenziato come il numero dei cartellini rossi e il tasso di omicidi siano correlati tra loro, dimostrando che lo sport è il riflesso di una società.
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In Africa, Albert Ebossé, attaccante di 24 anni è morto per una pietra lanciata degli spalti a Titi OUzou, vicino ad Algeri; mentre un colpo di pistola causato da una rapina finita male ha invece ucciso il sudafricano Senza Mywa. Se Ebossé aveva sbagliato partita, Mywa si trovava nel posto sbagliato al momento sbagliato.
Anche la guerra in Siria si è portata via dei calciatori. Yussef Suleiman, attaccante siriano, è stato ferito a morte da un colpo di mortaio durante un allenamento. Burak Karan, amico di Kevin Prince-Boateng e Khedira, aveva lasciato il calcio di sua volontà per unirsi alla lotta jihadista, prima di morire per le bombe nemiche. Fosse rimasto a giocare in Germania probabilmente sarebbe ancora vivo.
Passando al Sud America, fa orrore pensare alla morte di Daniel Correa Freita, trequartista brasiliano di soli 24 anni, ucciso e mutilato con il machete dal compagno della sua amante. Sempre in Brasile, nel novembre 2013 è deceduto Gabriel Costa, attaccante della Fluminense dato in pasto ai pescicani da un boss locale per aver rubato un auto nella favelas sbagliata.
Tra gli omicidi nel calcio ha fatto storia la morte di Andrés Escobar, difensore dell’Atletico Nacional e della nazionale colombiana ucciso per un autogol. Nella partita Colombia-USA, un suo errore fatale aveva estromesso i Los Cafeteros dai mondiali di calcio 1994. Tornato in patria, e appena uscito da un ristorante di Medellin, Escobar è stato colpito da sei colpi di pistola e morto sul colpo.