La scienza dimostra che il calcio è lo specchio della società. Questo vuol dire che se la domenica siamo arrabbiati non è colpa dell’arbitro.
Bruno Barba, ricercatore di Antropologia dell’Università di Genova afferma “Il calcio è ‘grammatica’: dimmi come concepisci il pallone, che gioco ti piace, e ti dirò chi sei”.
Lo sport è un centro di osservazione antropologica: ci serve per capire in che società viviamo. Chi siamo. Cosa respiriamo. Se diventiamo aggressivi o offensivi quando siamo allo stadio, vuol dire che nella vita ci teniamo a freno, e non è colpa dell’arbitro.
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Secondo il CIES Football Observatory il numero di cartellini rossi in partita è più alto nei paesi poveri con un elevato tasso di omicidi, che nel resto del mondo. Ciò significa che la violenza che si vive in una nazione viene trasportata come per osmosi anche nel calcio.
Un altro studio interessante mostra che in passato con la crescita delle tifoserie sia diminuita la partecipazione alla politica. Ma ora che il calcio sta perdendo audience, negli ultimi due anni c’è stato un aumento di cittadini alle urne. “Panet e Circense”, dicevano i romani.
Se il calcio agonistico invece di unirci continua a dividerci, allora forse è meglio tornare a giocare al campetto, dove le sbucciature erano innocue e non c’era bisogno di un arbitro.