Nel torneo di paese organizzato del Trauma Park F.C. c’era posto per tutti, anche per uno come Paolo J. Scriveggio.
Vivevo a Trauma Park, una piccola cittadina di provincia. Le strade erano pulite, per le vie non c’era un solo gatto randagio, solo qualche ubriacone annoiato. Gli abitanti erano un po’ pazzi. A volte giocando a calcio nel campetto del prete la palla finiva nel giardino di Betty Zappolino una signora anziana che abitava vicino alla chiesa. Il freezer della vecchia era pieno di palloni da calcio bucati, e questo spiegava perché i suoi biscotti avessero un retrogusto di cuoio. Ma lo scoprimmo tardi.
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— Filmoni e Cinepanettoni (@Cinepanettoni) November 7, 2015
Nel torneo di calcio organizzato del Trauma Park F.C. c’erano i migliori atleti del paese. In porta giocava un cieco che parava solo di faccia. In difesa c’era un giocatore fascista che odiava le divise rosse ed era insuperabile, tranne quando nell’altra squadra giocava un attaccante straniero, allora la partita finiva in rissa.
A centrocampo a smistare i palloni c’era invece un comunista; si trattava di un ragazzo solido e testardo che pur di passare la sinistra la regalava agli avversari. Titolare in attacco con la maglia numero 9 giocava un ex tossicodipendente che prendeva le parole troppo alla lettera e se l’allenatore gridava “Calcia in porta!” mirava alla porta degli spogliatoi. Il problema è quando gli diceva “Tira!”.
L’arbitro del torneo era un signore anarchico e confuso che odiava arbitrare e non fischiava mai fallo. Poi c’era Paolo che giocava in squadra con me. Un panchinaro nato, che stava in panchina anche negli scambi di coppia.
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Le pessime barzellette di Paolo “il panchinaro”
Il mio amico Paolo J. Scriveggio era una sicurezza in panchina. Non saltava mai una partita, e si allenava a stare seduto anche in allenamento. Un vero atleta. Andava bene a scuola ma gli mancava qualche osso nel cervello. Il suo repertorio di battute era infinito…
- In tutte le partite c’è lo sfigato di turno: l’arbitro. A meno che in campo ci sia Bonera.
- Da quando faccio gestire le bollette a Mino Raiola, è l’Enel che mi paga le rate della macchina elettrica.
Ma la sua pessima barzelletta preferita la teneva scritta in un foglietto che portava sempre con sé, quasi temesse di dimenticarsela, e la leggeva e la ripeteva in continuazione, nelle interrogazioni a scuola, all’arbitro durante le partite, ai matrimoni degli amici, come anche ai funerali dove andava a fare presenza e leggere discorsi, e diceva così: «Un pulcino alza una gamba. Alza l’altra. E cade».