Torre di Babele in vista per il calcio italiano. Perché i tecnici ormai sono sempre più impegnati nell’apprendere tre o quattro lingue per fornire i dettami tattici.
C’era una volta il calcio italiano con due o tre stranieri. Poi arrivarono la legge Bosman, le pay tv, gli oriundi con i trisavoli di duecento anni prima e altri mille fattori che hanno aperto alla globalizzazione. Così in ogni squadra non è difficile scovare un calciatore dalle origini impensabili oppure proveniente da campionati che nemmeno ci sogneremmo di guardare la notte.
Eppur si muove, questo è il mercato. Per le squadre italiane, in particolare, la caccia allo straniero è spesso una questione di costi abbattuti che non di reale opportunità. Se il giovane italiano costa troppo, allo stesso prezzo si possono acquistare tre stranieri, contribuendo a creare una torre di Babele per quanto riguarda la comprensione in campo.
Perché passi qualche straniero tra i titolari, ma spesso si esagera con undici nazionalità su undici ruoli, creando così non poca confusione. E a pagarne le conseguenze sono… gli allenatori, costretti a girare quasi con il dizionario in mano. La nostra Serie A, anche in questo, non si fa mancare proprio nulla. Il caos è sempre più servito.
Dal primo straniero agli investimenti più strani
Gli elementi più assurdi tra gli stranieri e il calcio italiano partirono proprio da un malinteso linguistico. Il caso di Danuello alla Pistoiese è stato un po’ esagerato e gonfiato dalle leggende metropolitane, al di là del ponta (ovvero ala, tradotto dal portoghese) e punta: possibile mai che nessuno in ritiro si accorse dei movimenti del brasiliano?
Ora, invece, gli analisti di campo conoscono anche i segreti più reconditi di un diciottenne islandese, ma rimane sempre la confusione. Non è un caso che Paolo Zanetti abbia candidamente ammesso come stia spiegando, spesso e volentieri, i suoi allenamenti in inglese ai tanti stranieri del Venezia. Dovendo, poi, in seconda battuta chiarire la stessa lezione… in italiano alla minoranza dei giocatori rimasti.
È il segno dei tempi, la torre di Babele è diventata sempre più alta e non è nemmeno un elemento tanto moderno. Pensiamo, ad esempio, all’Udinese che da più di venti anni praticamente fa incetta di stranieri un po’ in ogni luogo del mondo, spesso trovando dei veri e propri campioni. Altre volte, ha importato degli elementi non proprio fenomenali.
POTREBBE ANCHE INTERESSARTI >>> Quest’anno un freno agli acquisti esotici
Per non parlare, poi, del Perugia all’epoca di Luciano Gaucci, quando il figlio Riccardo si faceva consigliare dai venditori ambulanti della città per scovare nuovi potenziali funamboli in Medioriente (arrivò anche gente discreta, tutto sommato). Anche in questo caso, si parla di calcio di inizio millennio, certo è che gli allenatori hanno dovuto arricchire il loro lessico per non diventare dei tizi incomprensibili con una tuta addosso.