Il compleanno di Giorgio Chiellini è l’occasione per tutta Italia di celebrare al meglio il capitano di Euro2020. 37 anni e ancora la voglia di un ragazzino per lui.
Giorgio Chiellini si sveglia con un anno in più. Per un’insonne come lui, nella biografia ha dichiarato come non sia un gran dormiglione, l’occasione del compleanno è anche un’opportunità per ripensare a quanto fatto negli ultimi mesi.
Per molti era dato addirittura per finito, per i tifosi oggettivi e per quanti lo hanno stimato, invece, era ed è il baluardo della Nazionale italiana. Tanto da diventare un oggetto di studio in Germania, con il Chiellinigkeit come stile di vita nell’affrontare le avversità del campo mantenendo un invidiabile self control.
Perché di avversità, Giorgio Chiellini, ne ha avute tante. Come un po’ tutti i calciatori, anche se il difensore ha avuto la forza per andare avanti sempre con tenacia. L’infortunio di due anni fa lo aveva praticamente portato sulla soglia del ritiro: 35enne, all’epoca, avrebbe potuto tranquillamente ritirarsi.
E si infortunò proprio in una settimana d’agosto semplicemente incredibile: prima il gol a Parma, valido per sbloccare l’incontro della prima giornata. Poi l’inatteso crack nella rifinitura contro il Napoli, che fu forse il vero segnale di una stagione non troppo glorifica con Maurizio Sarri.
Un leader dal sapore antico
Tanti gli aneddoti e le storie di campo di Giorgio Chiellini, nel capannello di auguri per il compleanno sono tante le avventure raccontate nel corso della carriera.
Da quando esordì con il Livorno nel 2003, e il suo primo campionato di Serie B da titolare. Giocato con Walter Mazzarri in panchina, giocato da esterno sinistro in un centrocampo a cinque. Perché Giorgio Chiellini era nato come esterno sinistro, il tecnico toscano lo aveva addirittura alzato nella mediana.
Comprato dalla Juventus – lui che proveniva dal settore giovanile della Roma – fu poi prestato alla Fiorentina. E fece discutere, alla prima giornata si beccò un fallo di reazione di Antonio Cassano, andò in gol contro il Lecce con un pallonetto e segnò anche alla Juventus, con annessa esultanza.
Rientrò nell’anno in cui sarebbe scoppiato Calciopoli, vinse uno scudetto poi revocato e andò con i bianconeri nell’inferno della Serie B. Lì avvenne il grande cambio tattico, che fu necessario per Didier Deschamps. Che vide in allenamento la prestanza del difensore e lo spostò per vie centrali. Da terzino a stopper, la Juventus aveva necessità in quel momento e nel bisogno spesso arrivano i colpi insperati.
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Da quel momento fu una roccia, un baluardo che conquistò spazio nella Juventus e nella Nazionale. Amate allo stesso modo, sacrificandosi sempre sino all’ultima goccia di sudore. E con risultati apprezzabili, alzare una coppa a Wembley è qualcosa di unico.