Alessio Boni, tifosissimo dell’Atalanta, è entusiasta del gruppo guidato da Gian Piero Gasperini. Tra paragoni teatrali e tante attese in campo.
«Gian Piero Gasperini è un po’ il Giorgio Strehler del calcio». Musica e parole di Alessio Boni, premiato nella serata di venerdì ad Acri, comune calabrese dove si è svolta CineIncontriamoci, kermesse organizzata dal giovane patron Mattia Scaramuzzo.
Un’occasione per parlare di cinema, di televisione ma anche di calcio, momento propenso dato il ritorno in campo per la nuova stagione agonistica.
Alessio Boni è un attore di lungo corso, ha recitato in tante fiction come Incantesimo, La meglio gioventù, Tutti Pazzi per amore, La compagnia del Cigno, ma anche a teatro e in opere emblematiche del nostro cinema.
Originario di Sarnico, non rinnega le sue origini soprattutto in fatto di tifo calcistico. Con orgoglio Alessio Boni parla della “sua” Atalanta: «Mi auguro che vinca lo scudetto. Percassi e Gasperini sono una coppia che ricorda praticamente Grassi e Strehler, il produttore e l’artista. Mi danno quest’idea, dal nulla dopo quattro-cinque anni, con tigna e “Mola mia”, hanno creato una grande realtà».
Dalla realtà di provincia al grande sogno: «L’Atalanta era una squadra importante, ma ora fa paura non solo all’Italia, ma anche all’Europa. Siamo entrati in Champions, nessuno ci calcolava… non avete idea di quanto ho goduto quando abbiamo battuto qualche anno fa la Juventus per 3-0!».
Oltre il tifo, anche l’impegno
Alessio Boni fu protagonista nel 2009 di un’opera che – probabilmente – andrebbe riscoperta e portata nella piena divulgazione calcistica e non. Con il film Complici del silenzio ha raccontato con grande passione quanto accadeva in Argentina nel 1978. Un anno che per i più significa solamente il mondiale del calcio, ma agli occhi del mondo si stava rivelando il caso dei desaparecidos, uno dei fenomeni più oscuri di tutto il Sudamerica.
Nel film del regista Stefano Incerti, Alessio Boni insieme al collega attore Giuseppe Battiston dà un senso concreto a quella stagione così contorta. Impegnati inizialmente nel ruolo di giornalisti andati in Argentina solamente per seguire le partite del mondiale, vedranno presto qualcosa di ben diverso. Un mondo praticamente parallelo ma con poca voce, il calcio serviva solamente per coprire le malefatte in una nazione dai tanti punti interrogativi.
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«Il film, cui tengo molto, è tratto da una storia realmente accaduta. Nel 1978 quella mattanza non era ancora uscita fuori, si scoprì qualche anno dopo quanto stava avvenendo con il dramma dei desaparecidos. Nel film si scopre un’Argentina che in superfice vince il mondiale, ma sotto succede molto altro. Non parliamo di un mondo lontanissimo, negli anni tra il Settanta e l’Ottanta c’eravamo un po’ tutti quanti ed era difficilissimo capire. Non era quella la solita guerra, ma una realtà dove si potevano trovare dei nemici anche solo per delle letture».