I giornalisti sportivi d’un tempo sono ancora rimpianti dagli italiani. Nel giorno del 102° compleanno di Gianni Brera, la loro assenza si sente ancor di più.
Il calcio italiano ha avuto dei cantori eccezionali e, man mano che passa il tempo, si sente sempre più l’assenza di quei giornalisti sportivi autorevoli ma che entravano con discrezione nelle case degli italiani. Erano altri tempi, c’era un tipo di divismo ben nascosto, anche se tutti gli italiani distinguevano quelle voci che facevano appassionare milioni di sportivi.
In principio fu la radio e il principe, se non proprio il re, era Nicolò Carosio. Voce della nazionale italiana per eccellenza, era una sorta di totem che venne poi accantonato dopo l’emergere della televisione, che prediligeva sicuramente anche dei personaggi.
Come Gianni Brera, in assoluto il simbolo dei giornalisti sportivi di un tempo. Perché non era solo un disquisitore tattico, quanto un elemento capace di rendere unica una partita. Sia per la sua capacità di essere onomaturgo, dando dell’abatino a Gianni Rivera e altro ancora, così come per le innate virtù del mestiere. Che onorò per tanti anni, anche con polemiche davvero interessanti se lette con gli occhi odierni. Non avrebbe mai immaginato che il calcio italiano sarebbe diventato uno spezzatino.
L’ironia, la classe e la competenza
Erano i tempi belli dei giornalisti sportivi discreti ma cordiali. Fra questi anche Beppe Viola, che morì in servizio, aveva una famiglia numerosa e la sensazione anche di esser preso in giro dai superiori (disse ciò in una memorabile battuta). Superiori che all’epoca non lo premiavano almeno economicamente per come avrebbe meritato.
Nando Martellini, che avrebbe compiuto nel 2021 il suo centenario, divenne invece la voce per eccellenza della tv che trasmetteva i grandi incontri. Competenza eccezionale, carisma da vendere, raccontò anche la straordinaria avventura che coinvolse l’Italia al mondiale spagnolo. Era un giornalista sportivo preparato con acume ma anche con una capacità prossemica importante per i tempi.
E come non citare uno dei più grandi, senza esserne consapevole. Quel Paolo Valenti che era il signore della domenica, il suo 90° minuto avrebbe meritato più considerazione nell’Italia dell’epoca, forse troppo severa nel declassare il programma. Magari non brillantissimo dal punto di vista tecnico, ma fatto con il cuore. Un 90° che Paolo Valenti portò a migliorare, nonostante tutto e nonostante una logistica non spesso eccezionale. Se spesso si citava il teatrino, nessuno forse pensava che ai tempi si arrivava con troppo caos all’appuntamento: meglio togliere i parziali dai campi, per fare un programma più corposo.
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Con questi fulgidi esempi di giornalisti sportivi i rimpianti aumentano oggi, nel vedere gente senza nemmeno un tesserino ergersi come bandiera del calcio italiano. L’epoca della preparazione e della concretezza era quella passata?