Il pragmatismo di Max Allegri contro il gioco totale di Maurizio Sarri. Alle 18 per il tecnico livornese una sorta di rivincita da completare contro l’ex tecnico bianconero?
È giunto il momento della vendetta… forse. Nella testa di Max Allegri c’è la consapevolezza, intanto, di conquistare i tre punti contro la Lazio. Battere una diretta concorrente nelle zone alte della classifica è sicuramente un fattore da tener in conto. Poi, probabilmente, si potrà concentrare nella gara personalissima contro il tecnico attuale della Lazio, già partita nel dichiarare che tutte le squadre sono allenabili.
Maurizio Sarri fu il suo erede sulla panchina bianconera nel 2018 quando, dopo cinque scudetti consecutivi, ricevette il ben servito e dovette stare forzatamente a casa. Pagato, si intende, ma sempre senza una panchina, come avvenuto anche la scorsa stagione ma senza ricevere stipendio: non è un caso che, al ritorno alla Juventus, la sua paga sia stata aumentata di un bel po’.
Questioni economiche che hanno attraversato anche il periodo sarriano, il tecnico tosco-partenopeo lasciò il Chelsea, con il quale aveva vinto l’Europa League, per passare in bianconero. Indossata solo una volta la giacca e la cravatta in sede di presentazione, andò in panchina dalla terza giornata con un guardaroba rimasto immutato per tutta una stagione. Al di là dell’abbigliamento discutibile, anche il campo non fu foriero di emozioni, come se la rivoluzione si fosse fermata solamente all’ingresso dello Juventus Stadium.
Due anni persi?
In effetti, c’è ancora un senso di colpa che pervade l’ambiente. Di chi le responsabilità maggiori per il crollo degli ultimi due anni? Di Andrea Agnelli, Fabio Paratici o Pavel Nedved? Perché l’esonero di Allegri, dovuto alla sconfitta casalinga contro l’Ajax in buona sostanza, poteva anche esser giustificato, ma da fare probabilmente nell’immediato della sconfitta in Champions.
Il presidente Agnelli andò invece a parlare dei bilanci e non della gara – forse era più importante il marketing americano – rimandando la decisione dopo la conquista dell’ottavo scudetto di fila, il quinto di Allegri.
Che fu salutato con commozione, baci e abbracci nella conferenza finale non mancarono. Addio Allegri, ecco Sarri e la presunta rivoluzione del gioco che doveva conquistare l’Europa, lì forse fu fatto il più grande errore di valutazione possibile.
L’attuale tecnico della Lazio era il meno adatto per l’ambiente torinese. Nonché il meno malleabile con determinati giocatori: rivoluzione per rivoluzione, tanto valeva prendere Pep Guardiola o Jurgen Klopp, per puntare a vincere la Champions League.
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I due anni bianconeri che ne derivarono non sono stati memorabili. Nonostante lo scudetto sarriano (tornò a indossare la giacca e la cravatta) e la Coppa Italia più Supercoppa di Andrea Pirlo. Ora tocca ad Allegri fare da normalizzatore, una sorta di bis della prudenza perché d’altronde vincere non è importante, è l’unica cosa che conta per la Juventus.