Il compleanno di Roberto Mancini è l’occasione per ricordare la portata della sua impresa europea, ma anche un protagonista del calcio italiano prima in campo e poi in panchina.
Buon compleanno Roberto Mancini! Sono 57 le candeline che spegnerà oggi il tecnico jesino, ben saldo sulla panchina della Nazionale dopo la vittoria del titolo europeo. Ci rimarrà probabilmente sino al mondiale del 2026 (pensando, intanto, a qualificarci per il prossimo….) battendo altri record e cercando di migliorare anche quello dell’imbattibilità azzurra.
La sua missione da commissario tecnico è stata netta sin dall’inizio, rifondare l’Italia dopo il disastro di Gian Piero Ventura. E lo ha fatto ripartendo dai giovani a ogni costo, nessun ct aveva mai convocato un ragazzo – Nicolò Zaniolo – che era addirittura esordiente assoluto in Serie A.
Ha avuto coraggio e buon occhio nel dare all’Italia una fisionomia, nel togliere di dosso le paure e dei timori vecchi come il cucco nella prima parte della sua avventura: l’Italia contro le piccole era stata un carro armato, tutto materiale ottimo per il ranking Fifa, non a caso tornato a risplendere. Le qualificazioni al mondiale hanno ridato ansia: quattro vittorie, quattro pari e gli spareggi che determineranno il nostro destino prossimamente.
Un tecnico di peso
Roberto Mancini pensando a quanto ottenuto davanti alla torta di compleanno può dirsi sicuramente soddisfatto. Partì come giovane prospetto del Bologna, poi fu acquistato dalla Sampdoria e lì divenne il più grande di tutti. Capitano, idolo, bandiera e … carattere fumantino, perché quanto faceva nella Samp non era di certo ripetuto nell’azzurro nazionale. Un po’ per demeriti dei tecnici, un po’ anche per quelli suoi, che vedeva solo in Vujadin Boskov l’unica guida tecnica affidabile.
Con il serbo vinse lo scudetto del 1991, l’ultimo di una squadra provinciale, da capitano di un gruppo abbastanza granitico che si fermò solo contro il Barcellona la stagione successiva nella finale di Champions League.
Poi concluse il suo percorso alla Lazio con Sven Goran Eriksson, altro suo mentore che lo svezzò per poco anche in panchina. Andò alla Fiorentina, vinse una Coppa Italia e poi si perse nelle nubi della gestione Cecchi Gori. Con la Lazio riportò entusiasmo, nella prima fase interista vinse scudetti a tavolino e qualcun altro sul campo.
E vinse la Premier League con il Manchester City agli ultimi minuti di gioco, qualcosa di assolutamente irripetibile e forse poco conclamato.
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Tra Turchia, il bis non felicissimo all’Inter e qualche rumor, è arrivato sulla panchina della Nazionale al momento giusto. E – spareggi permettendo – potrà dire di aver il destino dell’Italia, facendola diventare davvero una grande squadra, con un gruppo di prospettiva che potrà puntare a un grande slam per il futuro.