Quando siamo oramai giunti agli inizi del mese di marzo, il campionato di calcio di Serie A si ritrova a vivere una delle crisi più grandi fin dalla sua prima istituzione. L’emergenza del coronavirus sta infatti mettendo a dura prova le istituzioni, trovatesi costrette a far fronte sia alle ordinanze emesse dal governo che con il buon senso comune. Ad ogni turno sono sempre di più le gare rinviate a data successiva, quando, si spera, l’allarme sarà definitivamente rientrato. Con il rischio, però, di compromettere in modo irrimediabile l’inerzia dell’intero campionato, specialmente in un anno in cui i giochi in varie situazioni di classifica sembrano essere apertissimi.
A tenere banco è soprattutto il big match tra Juventus ed Inter, che sui social (e al di fuori) sta scatenando polemiche a non finire. Dapprima indicata tra le partite disputate a porte chiuse, la contesa è stata poi spostata al 13 maggio, generando infine un vortice clamoroso di dissapori e frecciatine neanche troppo velate: da una parte chi punta il dito contro il presunto potere dei bianconeri, che avrebbe sedotto a proprio vantaggio l’assemblea della Serie A per decidere una data più consona; dall’altra chi vede malizia nei confronti dell’ostracismo del club nerazzurro, che vorrebbe trarre un vantaggio non legittimo nel disputare la più difficile trasferta stagionale senza i tifosi avversari. Nel mezzo, a perderci è il calcio stesso: quello sport che dovrebbe essere un’unione, un ponte capace di collegare persone e culture differenti. E che, in un momento così difficile, si trasforma invece in un’ulteriore strumento di divisione.